Oggi parliamo di: “Il fiato di Edith”
Questo
piccolo romanzo o meglio racconto lungo è stato scritto da Nicola Pesce ed
edito nel 2020 dalla casa editrice NPE.
La trama. Ci troviamo in Irlanda e un
ragazzino di nome Jonathan si imbatte accidentalmente in una casa un po’
diversa dalle altre. La sua curiosità lo spinge ad entrare e lì, scorge una
famigliola riunita attorno ad un lettino sul quale era sdraiata una bambina,
più o meno sua coetanea, che sembrava stare molto male. Difatti Edith è affetta
da una malattia che non le permette di respirare bene, una malattia sconosciuta
e della quale i familiari non trovano una spiegazione né una cura, quasi si
trattasse di un maleficio. Al vedere quella bambina e la sua sofferenza in
Jonathan scatta un sentimento di amore sincero e puro grazie al quale deciderà
di aiutare in tutti i modi possibili Edith a guarire e a sconfiggere questo
maleficio. Tra i due bambini si instaurerà un sodalizio molto profondo che gli
legherà l’uno all’altra fino a quando qualcosa non ribalterà la situazione.
“<<Un maleficio!>> diceva il padre di Edith allargando le braccia e poi chiudendole <<Un maleficio!>> ripeteva”
La mia
opinione. Questo racconto lungo, racchiuso in 120 pagine ha l’aria di una fiaba
ahimè poco articolata. Difatti, Nicola Pesce usa uno stile di scrittura quasi
fiabesco dove non sono espressamente caratterizzati né il tempo in cui si
sviluppa la storia, né il luogo preciso (sappiamo solo che siamo in Irlanda),
un’espediente, probabilmente, utilizzato dallo scrittore per far catapultare il
lettore nei panni del protagonista e ad attivare la propria immaginazione,
proprio come accade nelle fiabe. I personaggi all’interno di questo racconto
sono pochi e questo in generale non è un male, ma qui sono anche molto poco
caratterizzati, sorte toccata anche ai due protagonisti di cui, in particolare,
di Edith non si sa praticamente nulla se non che è affetta da questa malattia
misteriosa da cui, alla fine, potrà guarire senza nemmeno troppe difficoltà. Probabilmente la
volontà dell’autore era quella di concentrare il lettore sui sentimenti di
Jonathan che sono descritti con linguaggio poetico e dovizia di particolari.
“Solo un gesto folle avrebbe potuto compensare la follia di quel maleficio. Solo una quantità di bene infinita avrebbe potuto compensare sulla bilancia l’infinita quantità di male che era stata poggiata sull’altro piatto. E quel gesto folle doveva farlo lui, perché non c’era nessun altro a volerlo fare. E se vi fosse stato qualcun altro, ebbene lui non gli avrebbe ceduto il posto”
Il
linguaggio poetico con questa sfumatura fiabesca è una costante in tutto il
racconto ed è forse la cosa che ho apprezzato di più e che mi ha portato fino
in fondo alla lettura di questo libro. Le descrizioni dei paesaggi con quei
toni aulici e un po’ melanconici sono difatti molto belle tanto da renderne
vivide le immagini nella mia mente.
“C’erano i grilli, o forse le cicale, non avrebbe saputo dirlo. Ne erano invasi gli alberi che si chinavano sul pelo dell’acqua. I salici piangenti, le piante di sambuco e tanti altri alberi il cui nome non avrebbe saputo dire”
Ma tutta la storia è carente di struttura. Finito di leggerla infatti ho iniziato a pormi troppe domande tra cui: ma perché finisce così? Che senso ha? Edith stava davvero male o è solo una furba? Domande che mi hanno portata a non essere affatto entusiasta di questo romanzo che a mio parere aveva davvero un bel potenziale ma purtroppo, a mio parere, poco o per nulla sfruttato.
È una
lettura che si può affrontare dai 12 anni in su.
Il mio
voto è:
2 stelle
su 5 ⭐⭐
Mi dispiace tantissimo che non ti sia piaciuto però ti capisco perché quando i personaggi sono poco caratterizzati è sempre difficile immedesimarsi!
RispondiEliminaSi anche a me è dispiaciuto alla fine non essere soddisfatta di questa lettura anche perché lo stile di scrittura di Pesce mi piace! ha un non so che di poetico e nostalgico. Probabilmente proverò a leggere comunque altro di suo :)
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